
Santi Patroni
La Santa Famiglia di Nazareth,una guida per tutte

La domenica tra Natale e Capodanno – o il 30 dicembre quando Natale cade di domenica - la Chiesa ricorda la Santa Famiglia di Nazareth, faro che illumina le famiglie cristiane che ad essa guardano e ad essa si affidano con la preghiera.
Storia e origini della festa
La festa dedicata alla Santa Famiglia, nel secolo XVII veniva celebrata a livello locale; nel 1895 Leone XIII la fissa alla terza domenica dopo l’Epifania, ma solo con Benedetto XV nel 1921 viene estesa alla Chiesa universale. A spostarla inizialmente alla domenica dopo l’Epifania e poi, in un secondo momento, alla data attuale, sarà Giovanni XXIII. Questa celebrazione intende fornire un modello di vita alle famiglie di ogni tempo e di ogni luogo: se per Maria e Giuseppe, infatti, Gesù non è solo il loro bambino, ma il loro Dio, allora le azioni più sacre, quali pregare, entrare in comunione con Lui, ascoltarne la Parola, coincidono con i normali dialoghi di una mamma e un papà con il proprio figlio. Ecco, dunque, che inizia qui la storia di tutte le famiglie cristiane, per le quali ogni gesto, anche quello più semplice e in apparenza più insignificante, può essere vissuto come sacramento.
La famiglia, la prima Chiesa
La famiglia di Nazareth è Santa perché incentrata su Gesù: per questo è unica, unita da un amore immenso e da un’altrettanto immensa fiducia in Dio; il suo messaggio è un messaggio di fede piena, di abbandono alla volontà del Signore. Come ogni mamma e ogni papà, anche le attenzioni di Maria e Giuseppe sono rivolte con premura a Gesù, ma nella consapevolezza che il figlio appartiene a Dio e che loro sono i custodi della sua vita. Come loro, tutti i genitori sono custodi della vita dei figli, non proprietari, e devono aiutarli a crescere, a maturare. Come tutti i genitori del mondo, Maria e Giuseppe crescono assieme a Gesù, come famiglia, nell’amore reciproco e nell’apertura fiduciosa a Dio che è la sorgente della vita. Questa, infatti, è la prima missione che viene affidata alla famiglia: creare le condizioni favorevoli per la crescita armonica dei figli, affinché questi possano vivere una vita buona, degna del Signore e costruttiva per il mondo. Questa speciale comunità di vita e amore che è la famiglia, dunque, come afferma Papa Francesco, è chiamata a essere “chiesa domestica” per far risplendere le virtù evangeliche e diventare fermento di bene nella società.
Preghiera alla Santa Famiglia
Gesù, Maria e Giuseppe, in voi contempliamo lo splendore del vero amore, a voi, fiduciosi, ci affidiamo.
Santa Famiglia di Nazaret, rendi anche le nostre famiglie luoghi di comunione e cenacoli di preghiera, autentiche scuole di Vangelo e piccole Chiese domestiche.
Santa Famiglia di Nazaret, mai più ci siano nelle famiglie episodi di violenza, di chiusura e di divisione;
che chiunque sia stato ferito o scandalizzato venga prontamente confortato e guarito.
Santa Famiglia di Nazaret, fa’ che tutti ci rendiamo consapevoli del carattere sacro e inviolabile della famiglia, della sua bellezza nel progetto di Dio.
Gesù, Maria e Giuseppe, ascoltateci e accogliete la nostra supplica. Amen.
(Papa Francesco, Amoris Laetitia, 325)
San Giuseppe lavoratore, sposo della B.V. Maria, protettore dei lavoratori

1° Maggio
Fabbro, falegname, carpentiere. San Giuseppe era tutto questo – come insegnano i Vangeli – oltre a essere lo sposo di Maria e il padre terreno di Gesù. Con la sua vita di onesto lavoratore, San Giuseppe nobilita il lavoro manuale con il quale mantiene la sua Santa Famiglia e partecipa al progetto della salvezza.
Giuseppe, il “Giusto”
Così viene chiamato nelle Scritture: con l’appellativo “il Giusto”, che nel linguaggio biblico definisce chi ama e rispetta la Legge in quanto espressione della volontà di Dio. Giuseppe lo fa. Discendente della Casa di Davide, non è assolutamente in età avanzata quando si fidanza con Maria. E, come la sua sposa, anche lui dice il suo “sì” a un angelo, quello che lo visita in sogno per rassicurarlo sulla gravidanza di Maria, in quanto frutto dello Spirito Santo. È il nascondimento la sua caratteristica, il suo farsi da parte. Quando Gesù inizia la sua vita pubblica, alle nozze di Cana, il Nuovo Testamento non lo cita più: probabilmente è morto, ma non sappiamo né dove né quando, né tantomeno sappiamo dove sia sepolto.
Il lavoro: partecipazione al disegno divino
Come quei padri che insegnano il proprio lavoro ai figli, così fa anche Giuseppe con Gesù. Egli stesso, più volte, viene chiamato nei Vangeli “il figlio del carpentiere” oppure “del legnaiuolo”. Più di tutti, quindi, San Giuseppe rappresenta la dignità del lavoro umano che è dovere e perfezionamento dell’uomo che così esercita il suo dominio sul Creato, prolunga l’opera del Creatore, offre il suo servizio alla comunità e contribuisce al piano della salvezza. Giuseppe ama il suo lavoro. Non si lamenta mai della fatica, ma da uomo di fede la eleva a esercizio di virtù; sa essere sempre contento perché non ambisce alla ricchezza e non invidia i ricchi: per lui il lavoro non è un mezzo per soddisfare la propria cupidigia, ma solo strumento di sostentamento per la sua famiglia. Poi, come viene prescritto agli ebrei, il sabato osserva il riposo settimanale e prende parte alle celebrazioni. Non deve stupire questa concezione nobile del lavoro più umile, quello manuale: già nell’Antico Testamento, infatti, Dio viene simboleggiato di volta in volta come vignaiolo, seminatore, pastore.
La festa di San Giuseppe Artigiano
Fu istituita ufficialmente da Pio XII il Primo Maggio del 1955 per aiutare i lavoratori a non perdere il senso cristiano del lavoro così espresso, ma già Pio IX aveva in qualche modo riconosciuto l’importanza di San Giuseppe come lavoratore quando proclamò il Santo patrono universale della Chiesa. Il principio del lavoro come mezzo per la salvezza eterna sarà ripreso anche da Giovanni Paolo II nella sua Enciclica Laborem Exercens, in cui lo chiama “il Vangelo del lavoro”. Sembra, poi, che anche il cardinale Roncalli – futuro Giovanni XXIII - eletto al soglio di Pietro avesse pensato di farsi chiamare Giuseppe, tanto era devoto al Santo padre terreno di Gesù. Infine, devoti di San Giuseppe sono stati anche molti altri Santi, come Santa Teresa d’Avila.
​
UDIENZA GENERALE di Martedì, 1° maggio 1984 - GIOVANNI PAOLO II
Carissimi fedeli!
1. Oggi, primo maggio, l’argomento del nostro incontro non può che essere la festa del lavoro. Desidero oggi onorare tutti i lavoratori.
Dal secolo scorso questa giornata del primo maggio ha sempre avuto un profondo significato di unità e di comunione tra tutti i lavoratori, per sottolineare il loro ruolo nella struttura della società e per difendere i loro diritti. Nel 1955, Pio XII, di venerata memoria, volle dare al primo maggio anche un’impronta religiosa, dedicandolo a san Giuseppe lavoratore, e da allora la festa civile del lavoro è diventata anche una festa cristiana.
Sono molto lieto di poter esprimere con voi oggi i sentimenti della più viva e cordiale partecipazione a questa festa, ricordando l’affetto che la Chiesa ha sempre avuto per i lavoratori e la sollecitudine con cui ha cercato e cerca di promuovere i loro diritti. È noto come specialmente dall’inizio dell’era industriale, la Chiesa, seguendo lo svolgersi della situazione e lo svilupparsi delle nuove scoperte e delle nuove esigenze, ha presentato un “corpus” di insegnamenti in campo sociale, che certamente hanno avuto e hanno tuttora il loro influsso illuminante, a cominciare dall’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII (1891).
Chi onestamente cerca di conoscere e di seguire l’insegnamento della Chiesa, vede come in realtà essa abbia sempre amato i lavoratori, e abbia indicato e sostenuto la dignità della persona umana come fondamento e ideale di ogni soluzione dei problemi riguardanti il lavoro, la sua retribuzione, la sua protezione, il suo perfezionamento e la sua umanizzazione. Attraverso i vari documenti del magistero della Chiesa emergono gli aspetti fondamentali del lavoro, inteso come mezzo per guadagnarsi da vivere, come dominio sulla natura con le attività scientifiche e tecniche, come espressione creativa dell’uomo, come servizio per il bene comune e come impegno per la costruzione del futuro della storia.
Come ho detto nell’enciclica Laborem Exercens (Ioannis Pauli PP. II, Laborem Exercens, n. 9), “il lavoro è un bene dell’uomo, perché mediante il lavoro l’uomo non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità, ma anche realizza se stesso come uomo e anzi, in un certo senso, diventa più uomo”.
La festa del primo maggio è molto opportuna per ribadire il valore del lavoro e della “civiltà” fondata sul lavoro, contro le ideologie che sostengono invece la “civiltà del piacere” o dell’indifferenza e della fuga. Ogni lavoro è degno di stima, anche il lavoro manuale, anche il lavoro ignoto e nascosto, umile e faticoso, perché ogni lavoro, se interpretato nel modo esatto, è un atto di alleanza con Dio per il perfezionamento del mondo; è un impegno di liberazione dalla schiavitù delle forze della natura; è un gesto di comunione e di fraternità con gli uomini; è una forma di elevazione, in cui si applicano le capacità intellettive e volitive. Gesù stesso, il Verbo divino incarnatosi per la nostra salvezza, volle prima di tutto e per tanti anni essere un umile e solerte lavoratore!
2. Nonostante la verità fondamentale del valore perenne del lavoro, sappiamo che molte sono le problematiche nella società di oggi. Già l’aveva notato il Concilio Vaticano II, quando così si esprimeva: “L’umanità vive oggi un periodo nuovo della sua storia, caratterizzato da profondi e rapidi mutamenti, che progressivamente si estendono all’intero universo. Provocati dall’intelligenza e dall’attività creativa dell’uomo, su di lui si ripercuotono, sui suoi giudizi e desideri individuali e collettivi, sul suo modo di pensare e di agire sia nei confronti delle cose che degli uomini. Possiamo parlare di una vera trasformazione sociale e culturale che ha i suoi riflessi anche nella vita religiosa (Gaudium et Spes, 4).
Il problema primo e più grave è certamente quello della disoccupazione, causato da tanti fattori, come l’introduzione su vasta scala dell’informatica, che per mezzo dei robot e dei computer elimina molta manodopera; la saturazione di alcuni prodotti; l’inflazione che arresta il consumo e quindi la produzione; la necessità della riconversione di macchine e di tecniche; la competizione.
Un altro problema è il pericolo che l’uomo diventi schiavo delle macchine da lui stesso inventate e costruite. È necessario infatti dominare e guidare la tecnologia, altrimenti essa si mette contro l’uomo.
Infine possiamo citare anche la grave questione dell’alienazione professionale, per cui si perde il significato autentico del lavoro, lo si intende solo come merce, in una fredda logica di guadagno per poter acquistare benessere, consumare e così ancora produrre, cedendo alla tentazione della disaffezione, dell’assenteismo, dell’egoismo individualista, dell’avvilimento, della frustrazione e facendo prevalere le caratteristiche del cosiddetto “uomo ad una dimensione”, vittima della tecnica, della pubblicità e della produzione.
Sono problemi assai complessi sui quali manca il tempo per soffermarsi. Ma oggi, primo maggio, vogliamo accennare alla necessità della “solidarietà” umana e cristiana, a livello nazionale e universale, per risolvere tali difficoltà in modo esauriente e convincente. Paolo VI diceva nella Populorum Progressio (Pauli VI, Populorum Progressio, n. 17): “Ogni uomo è membro della società: appartiene all’umanità tutta intera. Non soltanto questo o quell’uomo, ma tutti gli uomini sono chiamati a tale sviluppo plenario... La solidarietà universale, che è un fatto e per noi un beneficio, è altresì un dovere”. Parlando a Ginevra alla Conferenza internazionale del lavoro, io stesso dissi che “la soluzione positiva del problema dell’impiego presuppone una grande solidarietà nell’insieme della popolazione e nell’insieme dei popoli: che ciascuno sia disposto ad accettare i sacrifici necessari, che ciascuno collabori all’attuazione dei programmi e degli accordi miranti a fare della politica economica e sociale un’espressione tangibile della solidarietà” (Ioannis Pauli PP. II, Allocutio ad eos qui LXVIII conventui Conferentiae ab omnibus de humano labore interfuere habita, 10, die 15 iunii 1982: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, V/2 [1982] 2261).
3. Oggi, festa del lavoro,
memoria liturgica di san Giuseppe lavoratore,
invoco di cuore la sua celeste protezione
su quanti lavorando
trascorrono la loro vita
e su quanti purtroppo
si trovano senza lavoro,
ed esorto tutti
a pregare ogni giorno
il padre putativo di Gesù,
umile e semplice lavoratore,
affinché sul suo esempio e con il suo aiuto
ogni cristiano
porti nella vita
il suo contributo di diligente impegno
e di gioiosa comunione.
​
Preghiere a San Giuseppe
San Giuseppe, uomo giusto e umile, custode del Figlio e della sua dimora.
La tua fede, un faro che illumina il cammino, il tuo silenzio, un canto di profonda preghiera.
Con mani operose hai forgiato il legno, e con amore hai nutrito la tua famiglia.
In te, la dolcezza di un padre premuroso, e la forza di chi sa affrontare le avversità.
Oggi celebriamo la tua figura santa, e chiediamo la tua intercessione,
perché possiamo seguire il tuo esempio, e vivere nella luce della verità.
San Giuseppe, uomo di fede e di silenzio, custode del Figlio, modello per noi.
La tua vita, un esempio di umiltà e amore, ci insegna a vivere con cuore puro e sincero.
Con le tue mani hai costruito il tuo futuro, e con pazienza hai accolto il disegno divino.
In te, la tenerezza di un padre amorevole, e la forza di chi crede in un futuro migliore.
Oggi, ti preghiamo, intercedi per noi, affinché possiamo trovare la via della santità,
e vivere secondo la volontà di Dio, con la stessa fede e la stessa speranza che hai avuto tu.
​
Anniversario della dedicazione della nostra chiesa​
17 Maggio 1998